
Abbiamo ancora negli occhi le immagini devastate del terremoto in Abruzzo: le macerie polverose, le travi smozzicate, le pareti accartocciate e implose, come per un formidabile colpo di maglio.
Abbiamo visto la commozione e le lacrime delle vittime e quelle dei soccorritori.
Abbiamo ascoltato le parole di disperazione e quelle di conforto.
Ci siamo stretti alla comunità nazionale, perchè quando un disastro naturale colpisce, la scure cade sui giusti e sugli ingiusti, sui colpevoli e sugli innocenti con la stessa indifferente ferocia.
Però... sta di fatto che molte vittime sono state estratte da edifici pubblici, costruiti anche di recente, anche molto recente, quando le "pastoie" della burocrazia e i "lacci e lacciuoli" delle leggi e dei regolamenti edilizi avrebbero dovuto garantirne la realizzazione nell'assoluta sicurezza e la conformità ai canoni della corretta edificazione antisismica.
E' stato proprio così? Non sembra.
Nemmeno la più restrittiva e occhiuta regolamentazione può garantire l'onestà e la perizia dei costruttori, ma sta di fatto che il lassismo e la deregolamentazione
non sono di sicuro un incentivo a fare le cose secondo scienza e coscienza.
Quando si invoca la "deregulation" e si intende far passare ogni colpo di piccone alle regole come un passo verso il progresso, dovremmo riflettere sui guasti che la cultura del "facciamo come vogliamo e il resto al macero" sta già facendo nel nostro martoriato paese.
I ragazzi morti sotto le travi di cartapesta delle Casa dello Studente non saranno sempre lì a ricordarcelo.
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