sabato 7 marzo 2009

Cosa è cambiato?


Un aspetto del paesaggio italiano che colpisce il turista e lo straniero è “il borgo”storico: l'arroccamento sulle colline, lo stiparsi in gradoni sui litorali, il raggrupparsi sui crocevia o lungo le strade principali, anche in pianura. Una rappresentazione, anche fisica, della socialità, fatta di relazioni strettissime di buon vicinato, di reciproco supporto e di, conseguente, interdipendenza.
Attorno ai borghi, le campagne: dagli esigui terrazzamenti alle più ampie distese, il terreno veniva centellinato e gelosamente preservato per l'agricoltura, l'allevamento del bestiame, il pascolo.
Nei contratti d'affitto o mezzadria si citava , puntigliosamente, quanto doveva essere riservato al “legnatico”, al “fienatico” all' ortaggio o al grano, quanti capi di bestiame “grosso e minuto” potevano essere nutriti e allevati sul terreno. Una preoccupazione che rivela, a noi che nello spazio aperto vediamo solo la possibilità di riempirlo, quanto dipendesse dal terreno la sopravvivenza stessa degli abitanti di quel territorio. Nei villaggi si era soliti preservare “le comunanze” all'uso congiunto di quegli abitanti che, non possedendo terreni di proprietà, usufruivano del bene comune di boschi e prativi. Nella toponomasica dei nostri paesi si trovano ancora tracce di questa scelta di civiltà, oltre che spiegare senza equivoci l'origine del termine “Comune”, che contraddistingue le nostre municipalità, a differenza di altre definizioni. Le abitazioni sfruttavano quegli spazi che rendevano più agevole la difesa e profittavano della vicinanza per diminuire l'insolazione estiva ed il reciproco calore per vincere il gelo invernale.
La sapienza dei costruttori sapeva adoperare i materiali locali, la pietra e il legno in montagna, il mattone e il laterizio in pianura, il tufo nelle zone vulcaniche e l'arenaria in quelle alluvionali, per costruire case che risultavano essere funzionali oltre che “belle”, anche dopo secoli.
Le necessità degli uomini sono forse cambiate? Non abbiamo bisogno, noi, di cibo e di calore come i nostri nonni o bisnonni?
Quali altri bisogni indotti ci spingono a barattare il territorio, fatto di campi, boschi, prati o spiagge, con una sterminata distesa di costruzioni, più o meno utili , più o meno invadenti, più o meno banali?
La nostra schizofrenìa ci porta a devastare il suolo “vicino” per rincorrere “lontano” un luogo ideale incontaminato, magari esotico, un sito pittoresco, che non esitiamo a definire ”paradiso”: quasi che l'averlo perduto sia dipeso da un sopruso altrui, piuttosto che dalla nostra personale insipienza.

Nessun commento: