Oggetto : richiesta di
sospensione, revisione ed eventuale annullamento dell’accordo italo svizzero
circa la gestione transfrontaliera dei materiali inerti del marzo 2015.
L’intesa firmata a marzo mira, secondo i sottoscrittori,
“ad instaurare e a sviluppare la collaborazione transfrontaliera nell’ambito
della gestione e destino dei materiali inerti per l’edilizia dalla Lombardia
verso il Ticino e del materiale di scavo non inquinato e dei rifiuti edili di
origine minerale dal Ticino verso la Lombardia”.
Sono oltre 174mila le tonnellate
di materiale di scavo autorizzato “a passare la frontiera” nell’anno 2014. Nel
2013 erano state “solo” 26mila. In compenso è di quasi un milione di tonnellate
l’esportazione di sabbia e ghiaia dall’Italia alla Svizzera, utilizzate come
materiale per la costruzione: è il 40% del fabbisogno dell’intero Cantone. Il
materiale proviene prevalentemente dalle province di Varese e di Como, rispettivamente per il 53%, e il
43%.
Gli svizzeri continuano ad
utilizzare le sabbie e le ghiaie italiane, salvaguardando il loro territorio a
scapito del nostro, che viene impoverito sulla base di un'autorizzazione
all'estrazione derivante da un Piano Cave che teneva conto delle esigenze
dell'industria edile nostrana, non delle esportazioni: concedere maggiori
esportazioni significa creare una situazione distorta rispetto a quella
ipotizzata nel Piano cave, con conseguenze a tutt’oggi non valutate.
Le nostre risorse non sono
inesauribili, appartengono alla comunità dei cittadini, tanto è vero che si
danno in concessione, e dovrebbero essere utilizzate per l’economia locale e
non vendute all’estero in base ad accordi che privilegiano i profitti dei
cavatori a fronte della pubblica utilità.
Inoltre, per quanto riguarda il caso specifico, va considerato fra i
costi dell’accordo l’enorme alterazione ambientale, conseguenza
dell’escavazione, uno stravolgimento di paesaggi e reticolo idrico che nessun
ripristino a base di macerie e inerti di macinazione potrà mai compensare: ne abbiamo
avuto eclatanti esempi nella valle della Bevera!
Il dettato dell’accordo in
oggetto suggerisce, infatti, che, dopo aver irrimediabilmente distrutto interi
ecosistemi nella paradossale previsione di controbilanciarli con l’apporto di
materiali di scarto, le aree italiane oggetto di escavazione vengano utilizzate
come discariche di inerti, sostanzialmente come deposito di rifiuti edili.
Chi garantirà che gli inerti non
contengano arsenico, amianto, rame, nei residui di demolizioni? Verrà poi
controllato ogni autocarro - e sono decine di migliaia – che varcherà il
confine? Anzi, il testo dell’accordo prevede “di agevolare lo sdoganamento dei
materiali”, con la “semplificazione delle procedure ad ogni valico di
frontiera”: come non paventare un passaggio agevole, semplice e, anche solo
potenzialmente pericoloso, di materiali non conformi, magari frammisti ad altri
di legittima natura?
Si rammentino i recenti casi
delle indagini della magistratura nella valle della Bevera, inerenti depositi e
presunti occultamenti di sostanze non idonee nelle cave locali da parte di
esportatori di pochi scrupoli!
Perché non si chiede alle
popolazioni delle province di Varese, Como e Verbano Cusio Ossola se vogliono
diventare una dipendenza della Svizzera a vantaggio esclusivo di pochissimi
cavatori ed operatori del settore?
A quale prezzo pagheranno un
presunto vantaggio economico, se questo comporta il rischio di impoverimento
delle risorse idriche locali, il transito di migliaia di autocarri che
produrrebbe ulteriore inquinamento e graverebbe sulla rete stradale locale?
Con quale serenità potranno
accettare il rischio di rifiuti svizzeri (di qualunque natura essi possano
essere), dopo che si svelano continuamente casi nazionali e locali di
discariche non controllate che mettono in serio pericolo la salute delle
popolazioni coinvolte?
Il Presidente della provincia di
Varese, con il quale concordiamo pienamente, ha espresso un fondatissimo dubbio,
con la dichiarazione che citiamo: «Non
vorremmo che questa intesa venga “venduta” come la soluzione capace di
risolvere il problema delle cave nella nostra provincia, argomento sul quale
servirebbe invece una più attenta e approfondita valutazione che non prescinda
dai gravosi costi (in termini ambientali) che i nostri cittadini hanno già
pagato in tutti questi anni».
Proprio l’assenza della menzione di qualsiasi
procedura di Valutazione Ambientale Strategica, imposta per legge a qualunque altra
attività che coinvolga il territorio, rende questa intesa con il vicino Cantone
del tutto arbitraria e improvvida, oltre che probabilmente impugnabile dal
punto di vista normativo.
Vincenzi,
tra l’altro, pone un quesito anche istituzionale: «A parità di condizioni contemplate
nell’intesa, ma a parti invertite, siamo certi che il Canton Ticino avrebbe
firmato il documento dando così l’assenso all’operazione?»
È
il dubbio che vogliamo sollevare nella mente dei cittadini delle zone
coinvolte, negli amministratori locali, nelle autorità regionali e nazionali
preposte alla difesa dell’ambiente, poiché la risposta dell’assessore regionale
Claudia Maria Terzi non chiarisce assolutamente, a nostro avviso, quali siano i
vantaggi di tale intesa per il nostro territorio, se , come ella ha affermato: “L’accordo ha già
portato buoni risultati nel far venir meno l’esigenza
dei ticinesi di realizzare una discarica di inerti lungo il confine, che
avrebbe penalizzato il territorio di Bizzarone (CO), tanto quanto quella di
Stabio ha penalizzato il territorio di Cantello”.
L’assessore pare dimenticare che
l'importazione di materiali avviene secondo il DM 161/2012, che ha sostituito
l'art. 186 del DLgs. 152/2006 e s.m.i. e che fa parte del nostro corpus
normativo e non di quello elvetico: di conseguenza, qualunque camion di
materiale proveniente da demolizioni che entra nel nostro territorio si porta
forzatamente dietro un'etichetta di rifiuto ed un codice CER e può essere
conferito unicamente ad un recuperatore o ad un impianto di smaltimento, e
certamente non per “ri-ambientalizzare” dei siti di cava.
Si tratterebbe, dunque, dell’ammissione
di un male minore: impotenti a por fine al
deturpamento di una discarica a ridosso del confine, si accetta che altri
inerti, sia pure dichiarati non inquinati, ma rifiuti “ope legis”, vengano riversati nelle cave della provincia, pur di
non replicare lo sconcio. Sembrerebbe
che si sia ceduto ad un larvato ricatto!
Legambiente ritiene che l’accordo
non rispetti il principio di reciprocità, ma costituisca un danno univoco per
la Regione Lombardia e le province di Varese e Como e invita gli enti in
indirizzo a rivederlo integralmente, salvaguardando i territori e la salute dei
cittadini e attivando le procedure di valutazione ambientale corrette per un
piano cave compatibile con la difesa dell’ambiente e un oculato sfruttamento
delle risorse naturali.
Il Presidente di Legambiente
Valceresio onlus
Sergio Franzosi
Il Presidente di Legambiente
Lombardia Il Presidente di
Legambiente Cantello
Damiano Di Simine
Serafino Legnani
Arcisate, 20 giugno 2015
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