lunedì 22 giugno 2015

Giù le mani dal territorio lombardo e dalla valle della Bevera! Non vogliamo diventare la DISCARICA della Svizzera! NO all’intesa italo svizzera per la gestione dei materiali inerti!


Oggetto : richiesta di sospensione, revisione ed eventuale annullamento dell’accordo italo svizzero circa la gestione transfrontaliera dei materiali inerti del marzo 2015.
 
L’intesa firmata a marzo mira, secondo i sottoscrittori, “ad instaurare e a sviluppare la collaborazione transfrontaliera nell’ambito della gestione e destino dei materiali inerti per l’edilizia dalla Lombardia verso il Ticino e del materiale di scavo non inquinato e dei rifiuti edili di origine minerale dal Ticino verso la Lombardia”.

Sono oltre 174mila le tonnellate di materiale di scavo autorizzato “a passare la frontiera” nell’anno 2014. Nel 2013 erano state “solo” 26mila. In compenso è di quasi un milione di tonnellate l’esportazione di sabbia e ghiaia dall’Italia alla Svizzera, utilizzate come materiale per la costruzione: è il 40% del fabbisogno dell’intero Cantone. Il materiale proviene prevalentemente dalle province di Varese  e di Como, rispettivamente per il 53%, e il 43%.
Gli svizzeri continuano ad utilizzare le sabbie e le ghiaie italiane, salvaguardando il loro territorio a scapito del nostro, che viene impoverito sulla base di un'autorizzazione all'estrazione derivante da un Piano Cave che teneva conto delle esigenze dell'industria edile nostrana, non delle esportazioni: concedere maggiori esportazioni significa creare una situazione distorta rispetto a quella ipotizzata nel Piano cave, con conseguenze a tutt’oggi non valutate.
Le nostre risorse non sono inesauribili, appartengono alla comunità dei cittadini, tanto è vero che si danno in concessione, e dovrebbero essere utilizzate per l’economia locale e non vendute all’estero in base ad accordi che privilegiano i profitti dei cavatori a fronte della pubblica utilità.  Inoltre, per quanto riguarda il caso specifico, va considerato fra i costi dell’accordo l’enorme alterazione ambientale, conseguenza dell’escavazione, uno stravolgimento di paesaggi e reticolo idrico che nessun ripristino a base di macerie e inerti di macinazione potrà mai compensare: ne abbiamo avuto eclatanti esempi nella valle della Bevera!
Il dettato dell’accordo in oggetto suggerisce, infatti, che, dopo aver irrimediabilmente distrutto interi ecosistemi nella paradossale previsione di controbilanciarli con l’apporto di materiali di scarto, le aree italiane oggetto di escavazione vengano utilizzate come discariche di inerti, sostanzialmente come deposito di rifiuti edili.
Chi garantirà che gli inerti non contengano arsenico, amianto, rame, nei residui di demolizioni? Verrà poi controllato ogni autocarro - e sono decine di migliaia – che varcherà il confine? Anzi, il testo dell’accordo prevede “di agevolare lo sdoganamento dei materiali”, con la “semplificazione delle procedure ad ogni valico di frontiera”: come non paventare un passaggio agevole, semplice e, anche solo potenzialmente pericoloso, di materiali non conformi, magari frammisti ad altri di legittima natura?
Si rammentino i recenti casi delle indagini della magistratura nella valle della Bevera, inerenti depositi e presunti occultamenti di sostanze non idonee nelle cave locali da parte di esportatori di pochi scrupoli!
Perché non si chiede alle popolazioni delle province di Varese, Como e Verbano Cusio Ossola se vogliono diventare una dipendenza della Svizzera a vantaggio esclusivo di pochissimi cavatori ed operatori del settore?
A quale prezzo pagheranno un presunto vantaggio economico, se questo comporta il rischio di impoverimento delle risorse idriche locali, il transito di migliaia di autocarri che produrrebbe ulteriore inquinamento e graverebbe sulla rete stradale locale?
Con quale serenità potranno accettare il rischio di rifiuti svizzeri (di qualunque natura essi possano essere), dopo che si svelano continuamente casi nazionali e locali di discariche non controllate che mettono in serio pericolo la salute delle popolazioni coinvolte?
Il Presidente della provincia di Varese, con il quale concordiamo pienamente, ha espresso un fondatissimo dubbio, con la dichiarazione che citiamo: «Non vorremmo che questa intesa venga “venduta” come la soluzione capace di risolvere il problema delle cave nella nostra provincia, argomento sul quale servirebbe invece una più attenta e approfondita valutazione che non prescinda dai gravosi costi (in termini ambientali) che i nostri cittadini hanno già pagato in tutti questi anni».
Proprio l’assenza della menzione di qualsiasi procedura di Valutazione Ambientale Strategica, imposta per legge a qualunque altra attività che coinvolga il territorio, rende questa intesa con il vicino Cantone del tutto arbitraria e improvvida, oltre che probabilmente impugnabile dal punto di vista normativo.
Vincenzi, tra l’altro, pone un quesito anche istituzionale: «A parità di condizioni contemplate nell’intesa, ma a parti invertite, siamo certi che il Canton Ticino avrebbe firmato il documento dando così l’assenso all’operazione?»
È il dubbio che vogliamo sollevare nella mente dei cittadini delle zone coinvolte, negli amministratori locali, nelle autorità regionali e nazionali preposte alla difesa dell’ambiente, poiché la risposta dell’assessore regionale Claudia Maria Terzi non chiarisce assolutamente, a nostro avviso, quali siano i vantaggi di tale intesa per il nostro territorio, se , come ella ha affermato: “L’accordo ha già portato buoni risultati nel far venir meno l’esigenza dei ticinesi di realizzare una discarica di inerti lungo il confine, che avrebbe penalizzato il territorio di Bizzarone (CO), tanto quanto quella di Stabio ha penalizzato il territorio di Cantello”.
L’assessore pare dimenticare che l'importazione di materiali avviene secondo il DM 161/2012, che ha sostituito l'art. 186 del DLgs. 152/2006 e s.m.i. e che fa parte del nostro corpus normativo e non di quello elvetico: di conseguenza, qualunque camion di materiale proveniente da demolizioni che entra nel nostro territorio si porta forzatamente dietro un'etichetta di rifiuto ed un codice CER e può essere conferito unicamente ad un recuperatore o ad un impianto di smaltimento, e certamente non per “ri-ambientalizzare” dei siti di cava.
Si tratterebbe, dunque, dell’ammissione di un male minore: impotenti a por fine al deturpamento di una discarica a ridosso del confine, si accetta che altri inerti, sia pure dichiarati non inquinati, ma rifiuti “ope legis”, vengano riversati nelle cave della provincia, pur di non replicare lo sconcio.  Sembrerebbe che si sia ceduto ad un larvato ricatto!

Legambiente ritiene che l’accordo non rispetti il principio di reciprocità, ma costituisca un danno univoco per la Regione Lombardia e le province di Varese e Como e invita gli enti in indirizzo a rivederlo integralmente, salvaguardando i territori e la salute dei cittadini e attivando le procedure di valutazione ambientale corrette per un piano cave compatibile con la difesa dell’ambiente e un oculato sfruttamento delle risorse naturali.



Il Presidente di Legambiente Valceresio onlus
Sergio Franzosi
Il Presidente di Legambiente Lombardia              Il Presidente di Legambiente Cantello
    Damiano Di Simine                                                               Serafino Legnani


Arcisate, 20 giugno 2015



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