
Quando si parla di “difesa dell'ambiente”, nell'accezione più comune, si pensa quasi esclusivamente alla protezione dei "beni materiali" inseriti nel paesaggio, alle testimonianze artistiche, ai monumenti: in ogni caso ci si rapporta a qualcosa di concreto e ben visibile. In realtà esiste un patrimonio immateriale, nel quale affondano le radici dell'identità culturale di una comunità: si tratta della somma delle tradizioni, dei canti popolari, dei giochi da cortile, dei proverbi, del dialetto inteso come lingua madre, linfa e sangue della comunicazione orale famigliare.
Questo patrimonio è, sempre più spesso, confinato nella memoria dei vecchi, limitato e circoscritto all'interno delle famiglie,in naturale e lenta estinzione, mano a mano che l'età assottiglia il manipolo degli anziani.
Un episodio che, personalmente, mi ha fatto riflettere: Escursione eno-gastronomica, organizzata alla svelta fra un gruppo di amici, età media
,spirito goliardico e rilassato, pullman che risuona di battute e di risate... "Cantiamo..." Non si è riuscito a trovare un canto condivisibile, da cantare insieme, magari stonando secondo le migliori tradizioni. A parte il glorioso e sempre verde Mazzolin di fiori, più volte annunciato, ma abortito malamente in qualche timido accenno individuale.
Il cantare insieme è stato,per lungo tempo, l'unica forma di cultura musicale e d'intrattenimento: cantavano insieme le fienatrici e le mondine, si cantava nei campi, nei granai, nelle stalle e nelle osterie (con rime non sempre ripetibili), spesso "a cappella" con la voce sola, qualche volta accompagnati dalla fisarmonica che, a buon diritto,è lo strumento d'elezione per la musica popolare. Fino a cinquanta, sessant'anni fa, la musica tradizionale era un patrimonio comune, poi è subentrata la cultura nazional-popolare, che,in nome di una ipotetica omologazione, ha sostituito i contenuti autentici con una marmellata insipida e indifferenziata,il cui consumo, rapido e superficiale,non lascia traccia nell'immaginario collettivo.
La stessa sorte è toccata alle "storie" , i racconti che si facevano ai bambini, non ancora colonizzati dai fumetti o dai cartoni animati giapponesi o americani, ai proverbi, ai giochi ( la lippa, chi la conosce, al di sotto dei sessantenni di oggi?).Sono gli elementi di un "paesaggio culturale" di cui si sente sempre più la mancanza, nel vuoto che il naufragio della società consumistica ci prospetta.
Il periodo che precede il Natale si presta ai rimpianti, ai ricordi dell'infanzia, al recupero dei piatti tipici, alla riscoperta dei riti antichi... non auspichiamo un "torcicollo" nostalgico, ma una consapevolezza ritrovata del valore della tradizione.
Solo chi è veramente certo e sicuro della propria identità non ha paura di aprirsi alle novità e non teme l'altro da sè come pericoloso, perchè diverso.
La costruzione di un nuovo patrimonio comune non può ignorare le radici di ciascuno: il folclore che vogliamo tutelare è quello autentico, che accoglie e si mescola naturalmente con quello del vicino,come accade da secoli, consapevoli che "una tradizione è solo una novità che ha avuto qualche secolo di successo".
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